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Correlazioni in Medicina



Efficacia del trattamento precoce della sclerosi multipla recidivante-remittente con Alemtuzumab, ma il farmaco causa gravi eventi avversi


Generalmente la sclerosi multipla segue un andamento recidivante-remittente, ma la maggior parte dei pazienti entra nella fase secondaria progressiva.
Questa evoluzione clinica riflette la complessa interazione tra infiammazione focale, demielinizzazione, e degenerazione assonale nel sistema nervoso centrale.
Gli attuali trattamenti modificanti la malattia riducono la frequenza delle recidive e riducono, seppur lievemente, l’accumulo di disabilità, ma non hanno mostrato di prevenire la progressione a sclerosi secondaria.

Fin dal 1991 gli studi su Alemtuzumab ( Campath, MabCampath ) nel trattamento dei pazienti con sclerosi multipla secondaria progressiva hanno indicato che il farmaco possedeva efficacia nel sopprimere la recidiva ma non nel prevenire la progressione della disabilità.
In alcuni pazienti fu inoltre osservata un’alta incidenza di autoimmunità diversi mesi dopo la somministrazione del farmaco.
Successivamente studi in aperto nella malattia recidivante-remittente hanno mostrato che Alemtuzumab stabilizza e anche migliora il deficit esistente.
Sulla base di queste osservazioni è emersa l’ipotesi che la fase secondaria progressiva sia attribuibile alla neurodegenerazione postinfiammatoria e che l’immunoterapia sia in grado di influenzare la disabilità nel lungo periodo solo se somministrata precocemente nel corso della malattia.

Lo studio CAMMS223 ha confrontato due dosaggi di Alemtuzumab con l’Interferone beta-1a ( Rebif ) per via sottocutanea, nei pazienti precedentemente non trattati da sclerosi multipla recidivante-remittente in fase precoce.

Dal dicembre 2002 a luglio 2004, un totale di 334 pazienti sono stati assegnati in modo casuale, in un rapporto 1:1:1 a ricevere Alemtuzumab ( dosaggio di 12 mg/die o 24 mg/die ), oppure Interferone beta-1a.
Alemtuzumab è stato somministrato mediante infusione endovenosa per 5 giorni consecutivi durante il primo mese e per 3 giorni consecutivi ai mesi 12 e 24.
L’Interferone beta-1a ( dosaggio di 44 microg ) è stato somministrato per via sottocutanea 3 volte a settimana dopo la fase di intensificazione del dosaggio.
Tutti i pazienti hanno ricevuto 1 g di Metilprednisolone per via endovenosa per 3 giorni al basale e ai mesi 12 e 24.

Nel settembre 2005, il Data and Safety Monitoring Board ( DSMB ) raccomandò la sospensione del trattamento con Alemtuzumab dopo aver ricevuto la segnalazione di 3 casi di porpora trombocitopenica immune, tra cui un caso a esito fatale.
I pazienti in trattamento con Interferone beta-1a hanno continuato a ricevere il farmaco. Al momento della sospensione del trattamento solo 2 pazienti ( 1% ) non avevano ricevuto il secondo ciclo di Alemtuzumab al mese 12, mentre 155 pazienti ( 75% ) non hanno ricevuto il terzo ciclo di Alemtuzumab al mese 24.
Più pazienti hanno interrotto il trattamento con Interferone beta-1a che quello con Alemtuzumab, principalmente a causa di mancanza di efficacia e di eventi avversi; in tal modo solo il 59% del gruppo originario dei pazienti riceventi Interferone beta-1a ha completato lo studio della durata di 36 mesi, contro l’83% di coloro che hanno ricevuto Alemtuzumab.

Dallo studio è emerso che Alemtuzumab ha ridotto il rischio di accumulo sostenuto di disabilità del 71% e il rischio di recidiva del 74% ( p< 0,001 per entrambi ), rispetto all’Interferone beta-1a.
L’efficacia è stata mantenuta per 36 mesi, anche se il 72% dei pazienti trattati con Alemtuzumab non ha ricevuto il terzo ciclo, pianificato, di terapia al 24mo mese a causa di problemi di sicurezza.

La riduzione del carico delle lesioni alla risonanza magnetica per immagini ( MRI ) pesata in T2, è risultata maggiore tra i pazienti riceventi Alemtuzumab che tra quelli trattati con Interferone beta-1a, sebbene la differenza a 36 mesi non fosse significativa; il confronto è stato limitato dalla mancanza di dati MRI e dall’alta percentuale di interruzione riscontrata per l’Interferone beta-1a. Questa apparente superiore efficacia di Alemtuzumab non era dovuta a scarsa risposta a Interferone beta-1a, poiché la percentuale di recidiva tra i pazienti riceventi Interferone beta-1a era più bassa rispetto a quanto visto negli studi precedenti.

Sebbene lo studio stia a indicare che Alemtuzumab sia più efficace dell’Interferone beta-1a quando somministrato nei primi stadi della sclerosi multipla recidivante-remittente, esiste il problema di esporre giovani adulti che hanno poca disabilità a un farmaco associato a eventi avversi potenzialmente gravi.

Lo studio non era stato disegnato per valutare la sicurezza nel lungo periodo di Alemtuzumab e neppure non aveva potenza per individuare eventi avversi non comuni.
Il principale problema di sicurezza di Alemtuzumab è risultato essere l’autoimmunità, già nota come complicanza generica della ricostituzione immunitaria da linfocitopenia.
È stata riscontrata soprattutto autoimmunità tiroidea.

La porpora trombocitopenica immune ha causato la morte di un paziente. La porpora trombocitopenica immune è stata osservata nel 2,8% dei pazienti riceventi Alemtuzumab e nello 0,9% di coloro che avevano assunto Interferone beta-1a.

Ci sono informazioni insufficienti per trarre conclusioni riguardanti il rischio di tumore associato ad Alemtuzumab in questa popolazione: il tumore è stato diagnosticato in 3 pazienti trattati con Alemtuzumab e in 1 paziente ricevente Interferone beta-1a.

I punteggi medi di disabilità sono migliorati tra i pazienti nel gruppo Alemtuzumab, ma peggiorati tra quelli riceventi Interferone beta-1a.
Un miglioramento di 0,39 punti alla scala EDSS dal punteggio basale di 2 rappresenta un passaggio da disabilità minima a segni anomali neurologici senza disabilità.
Questo cambiamento clinico è stato accompagnato da un aumento del volume cerebrale all’MRI pesato in T1, tra i mesi 12 e 36, mentre è stato osservato un avanzamento dell’atrofia cerebrale tra i pazienti riceventi Interferone beta-1a.
Un possibile meccanismo potrebbe consistere nella secrezione di neurotrofine dai linfociti che sono rigenerati dopo la somministrazione di Alemtuzumab.
Presi assieme questi risultati sono a sostegno dell’ipotesi che la precoce soppressione dell’infiammazione nella sclerosi multipla sia in grado di inibire la complessa cascata dei meccanismi patologici responsabili della disabilità nel lungo periodo. ( Xagena2008 )

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2008


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