Epidemiologia ed esiti della febbre tra i pazienti con ictus ischemico acuto
Anche se la febbre dopo un evento ictale di tipo ischemico è comune ed è stata associata a esiti sfavorevoli nei pazienti, poco si sa su quali aspetti della febbre ( ad esempio, frequenza, gravità, o durata ) siano maggiormente associati agli esiti.
Sono stati utilizzati i dati di una coorte retrospettiva di pazienti con ictus ischemico acuto che sono stati ricoverati in un ospedale nel periodo 1998-2003.
Un episodio febbrile è stato definito come un periodo con una temperatura maggiore o pari a 100.0°F ( 37.8°C ).
Un burden di febbre è stato definito come la temperatura massima ( Tmax ) meno 100.0°F, moltiplicato per il numero di giorni con febbre.
Un burden di febbre ( in gradi per giorno ) è stato classificato come basso ( 0.1-2.0 ), medio ( 2.1-4.0 ), o alto ( 4.0 o maggiore ).
È stata utilizzata la regressione logistica per valutare l'associazione corretta di qualsiasi episodio di febbre e del burden di febbre con il risultato combinato di mortalità in ospedale o trasferimento a un hospice ( centro per le malattie croniche ).
Tra i 1.361 pazienti colpiti da ictus, 483 ( 35.5% ) hanno avuto più di un evento febbrile.
Tra i pazienti con febbre, la Tmax media è stata di 100.9°F, 87% ha presentato 2 giorni o meno di febbre, e i giorni medi di febbre totali sono stati 2.
I pazienti con qualsiasi evento febbrile hanno avuto tassi più elevati di esito combinato dopo aggiustamento per le caratteristiche demografiche, la gravità dell'ictus e le caratteristiche cliniche: odds ratio aggiustato ( aOR ), 2.7.
Un più alto burden di febbre era anche associato all’esito combinato: aOR di alto burden, 6.7; aOR di medio burden, 3.9, e aOR di basso burden, 1.2, rispetto ai pazienti senza febbre.
In conclusione, questo studio ha confermato che la febbre post-ictus si verifica comunemente e ha dimostrato che i pazienti con febbre alta hanno una probabilità aumentata di 6 volte di morte o di trasferimento in un hospice. ( Xagena2011 )
Phipps MS et al, Stroke 2011; 42: 3357-3362
Neuro2011