Mielofibrosi: Ruxolitinib migliora la sopravvivenza globale
Sono stati presentati i risultati del follow-up a tre anni di uno studio di fase III che ha dimostrato come Ruxolitinib ( Jakavi ) sia in grado di migliorare la sopravvivenza globale e determinare riduzioni durature delle dimensioni della milza rispetto alla terapia tradizionale.
In un’analisi separata esplorativa a lungo termine, Ruxolitinib ha rallentato o stabilizzato la progressione della fibrosi del midollo osseo, uno dei meccanismi alla base della malattia e delle sue conseguenze, effetto che non è stato osservato con la terapia tradizionale nei pazienti affetti da mielofibrosi in fase avanzata.
Nell’analisi dei dati relativi al follow-up a tre anni dello studio COMFORT-II, i pazienti trattati con Ruxolitinib hanno ottenuto un vantaggio per quanto riguarda la sopravvivenza globale rispetto ai pazienti che avevano ricevuto la terapia tradizionale.
E’stata riscontrata una riduzione del rischio di mortalità del 52% nel braccio Ruxolitinib versus terapia tradizionale ( hazard ratio, HR=0.48; p=0.009 ) e la probabilità stimata di sopravvivenza globale è risultata significativamente maggiore con Ruxolitinib rispetto alla terapia tradizionale ( rispettivamente, 81% vs 61% ) a 144 settimane.
Inoltre, il 51.4% dei pazienti trattati con Ruxolitinib è andato incontro a una riduzione maggiore o uguale al 35% delle dimensioni della milza rispetto ai valori basali.
I pazienti hanno continuato a mantenere la risposta splenica.
I risultati sono in linea con i precedenti risultati dello studio COMFORT-II nonché con quelli dello studio COMFORT-I, che avevano dimostrato che Ruxolitinib è in grado di fornire benefici clinici significativi rispetto alla terapia tradizionale e al placebo nei pazienti affetti da mielofibrosi.
La mielofibrosi si sviluppa quando segnali incontrollati nella via di trasduzione della proteina JAK, che regola la produzione delle cellule del sangue, inducono l’organismo a produrre cellule del sangue che non funzionano bene e danneggiano il midollo osseo con formazione di cicatrici fibrose con conseguente aumento delle dimensioni della milza ed altre gravi complicanze.
Ruxolitinib agisce direttamente sul meccanismo alla base della malattia, riducendo significativamente le dimensioni della milza e migliorando i sintomi indipendentemente dallo status genetico ( mutazioni a carico di JAK ), dal sottotipo della malattia o dal tipo di terapia precedente.
Nell’analisi a tre anni dello studio COMFORT-II ( COntrolled MyeloFibrosis Study with ORal JAK Inhibitor Therapy ), complessivamente il 45.2% dei pazienti ha continuato ad assumere Ruxolitinib, mentre tutti i pazienti randomizzati con la terapia tradizionale hanno sospeso il trattamento.
Tra i pazienti assegnati alla terapia tradizionale, il 61.6% è passato al braccio Ruxolitinib ed il 48.9% di questi ha continuato la terapia, entrando nella fase di estensione dello studio.
La durata mediana della esposizione a Ruxolitinib ( studio randomizzato più fase di estensione ) è stata pari a 136 settimane, mentre l’esposizione alla terapia tradizionale ( solo studio randomizzato ) è stata pari a 45 settimane.
Tutti gli eventi avversi sono risultati in linea con le analisi precedenti del trattamento con Ruxolitinib. Le reazioni avverse più frequenti di natura ematologica in entrambi i bracci ( Ruxolitinib, terapia tradizionale ) sono stati: anemia ( 50.0% vs 16.4% ) e trombocitopenia ( 50.7% vs 13.7% ).
Tra le anormalità non-ematologiche più frequenti in ciascun braccio ( Ruxolitinib, terapia tradizionale ) si annoveravano: edema periferico ( gonfiore alle estremità ) ( 36.3% vs 28.8% ), diarrea ( 32.2% vs 17.8% ) e astenia ( 24.0% vs 12.3% ).
Complessivamente 191 pazienti sono stati esposti a Ruxolitinib entro la data di cut-off, 146 pazienti sono stati inizialmente randomizzati al trattamento con Ruxolitinib e 45 pazienti sono passati a Ruxolitinib dopo essere stati inizialmente assegnati al braccio con la terapia tradizionale.
Le sospensioni del trattamento nel braccio Ruxolitinib erano principalmente dovute a eventi avversi ( 16.4% ) e alla progressione della malattia ( 15.1% ), mentre le sospensioni nel braccio che riceveva la terapia tradizionale erano principalmente dovute al ritiro del consenso e ad altri motivi ( ciascuno, 12.3% ). Solo due pazienti hanno sospeso a causa di anemia ( 1% ) e sette pazienti a causa di trombocitopenia ( 3.6% ).
E’ stata compiuta una analisi a lungo termine della morfologia del midollo osseo ha valutato l’effetto a lungo termine del trattamento a base di ruxolitinib sulla morfologia del midollo osseo in pazienti affetti da mielofibrosi. Analisi di biopsie del midollo osseo sono state ottenute dalla coorte di pazienti affetti da mielofibrosi e trattati presso MD Anderson Cancer Center ( University of Texas, USA ), che ha partecipato allo studio 251, una sperimentazione di fase I/II con Ruxolitinib.
Le biopsie dei pazienti affetti da mielofibrosi trattati con Ruxolitinib sono state effettuate al basale, a 24 mesi ( n=68 ) e a 48 mesi ( n=18 ).
I campioni sono stati raccolti da una banca dati osservazionale multicentrica che comprendeva dati provenienti da tre Paesi della Unione Europea ( 160 biopsie in una coorte di 139 pazienti ) in pazienti trattati con la terapia tradizionale a 24 mesi ( 97 pazienti ) e 48 mesi ( n=63 ).
Il grado di cambiamento della fibrosi del midollo osseo ( G ) rispetto al basale è stato classificato come miglioramento, stabilizzazione o peggioramento secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ( OMS ) ( 0-3 ) ed i valutatori sono stati mantenuti in cieco rispetto alle caratteristiche e agli esiti dei pazienti.
Ulteriori analisi sono state effettuate sulle biopsie di pazienti nella coorte trattata con Ruxolitinib: le variazioni nel tempo dell’entità del deposito di collagene, della quantità di osteosclerosi ( densità ossea anormale ) e della cellularità del midollo osseo.
Le biopsie del midollo osseo di pazienti trattati con Ruxolitinib che sono stati valutati al basale hanno presentato fibrosi come segue: il 21% è stato classificato come G1, il 53% come G2 e il 26% come G3.
La distribuzione dei gradi di fibrosi secondo i criteri OMS al basale non ha mostrato alcuna differenza evidente tra il gruppo trattato con Ruxolitinib e quello trattato con la terapia tradizionale ( p=0.441 al test Cochran Mantel-Haenszel ).
Ruxolitinib è un inibitore orale delle tirosin-chinasi JAK 1 e JAK 2, ed è stato approvato dalla Commissione Europea per il trattamento della splenomegalia correlata alla malattia e dei sintomi correlati alla malattia in pazienti adulti con mielofibrosi primaria ( anche nota come mielofibrosi idiopatica cronica ), mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitemia essenziale.
La dose iniziale consigliata di Ruxolitinib è di 15 mg due volte al giorno nei pazienti con una conta piastrinica compresa tra 100.000 e 200.000 per mm3, e 20 mg due volte al giorno nei pazienti con una conta piastrinica maggiore di 200.000/mm3. Le dosi possono essere titolate in base alla sicurezza ed alla efficacia.
Le informazioni per consigliare una dose iniziale per pazienti con conte piastriniche tra 50.000/mm3 e meno di 100.000/mm3 sono limitate. La dose iniziale massima consigliata per questi pazienti è di 5 mg due volte al giorno; la dose deve essere titolata con cautela.
Ruxolitinib può causare gravi effetti collaterali, tra cui una riduzione della conta delle cellule del sangue ed infezioni. Viene consigliato di monitorare l’ematocrito.
La riduzione della dose o la sospensione del trattamento possono essere richieste nei pazienti con compromissione grave della funzionalità epatica o renale, nei pazienti con reazioni avverse ematologiche, come la trombocitopenia, l’anemia e la neutropenia.
Riduzioni della dose sono consigliate anche quando Ruxolitinib viene somministrato assieme a potenti inibitori di CYP3A4 o Fluconazolo.
L’uso di Ruxolitinib durante la gravidanza non è consigliato e le donne devono evitare una gravidanza durante il trattamento a base del prodotto. Le donne che assumono Ruxolitinib non devono allattare.
Le reazioni avverse al farmaco più frequenti, di qualsiasi livello di gravità ( incidenza maggiore di 10% ) sono infezioni delle vie urinarie, anemia, trombocitopenia, neutropenia, ipercolesterolemia, capogiri, cefalea, aumento della alanina aminotranferasi ( ALT ), aumento della aspartato aminotransferasi ( AST ), lividi, sanguinamento e aumento della pressione arteriosa.
Altre frequenti reazioni avverse al farmaco ( incidenza tra 1 e 10% ) sono herpes zoster, aumento ponderale, flatulenza e tubercolosi ( 1% ).
E’stata segnalata leucoencefalopatia multifocale progressiva ( PML ). I medici devono prestare attenzione ai sintomi neuropsichiatrici suggestivi di PML. ( Xagena2013 )
Fonte: 18th Congress of European Hematology Association ( EHA ), 2013
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