Trattamento antiangiogenico o corticosteroideo nei pazienti con maculopatia da radiazioni dopo terapia con fascio di protoni per melanoma uveale
Sono state rivelate differenze o vantaggi nelle diverse opzioni di trattamento dopo terapia con fascio di protoni per il melanoma uveale mediante una serie di casi retrospettiva, comparativa, interventistica.
Tutti i pazienti che hanno ricevuto un trattamento intravitreale nel periodo 2011-2014 per maculopatia da radiazioni dopo la terapia con fascio di protoni sono stati inclusi.
Sono stati esclusi i pazienti che hanno richiesto re-irraggiamento, vitrectomie, o resezione del tumore; e coloro il cui trattamento è stato eseguito per potenziali altri motivi, come neuropatia ottica indotta da radiazione, o in cui il risultato visivo è stato influenzato dalla crescita del tumore sotto la macula o ischemia maculare.
Il follow-up minimo è stato di 12 mesi dopo l'ultima iniezione.
Dei 78 pazienti, 38 ( 48.7% ) hanno ricevuto iniezioni di Bevacizumab, 35 ( 44.9% ) iniezioni di Triamcinolone acetonide, e 5 ( 6.4% ) un impianto di Desametasone.
Nel gruppo Bevacizumab l’acuità visiva è migliorata in 11 pazienti ( 28.9% ) di 0.25 logMAR ed è rimasta stabile in 24 pazienti ( 63.2% ) 4 settimane dopo l'iniezione.
Nel gruppo Triamcinolone l’acuità visiva ha mostrato un miglioramento dei risultati in 10 pazienti ( 28.6% ) di 0.25 logMAR e la stabilità nella funzione in 20 pazienti ( 57.1% ).
4 settimane dopo l'impianto di Desametasone l’acuità visiva è rimasta stabile in 4 pazienti ( 80% ).
Non sono state rilevate differenze tra i gruppi per quanto riguarda il risultato funzionale o la riduzione dello spessore foveale centrale.
In conclusione, lo studio ha dimostrato che il trattamento antiangiogenico intravitreale o con corticosteroidi ha portato alla riduzione dello spessore della fovea centrale e a un miglioramento visivo in alcuni pazienti senza mostrare differenze o vantaggi, quindi può essere raccomandata una scelta di trattamento specifica per il paziente. ( Xagena2016 )
Seibel I et al, Am J Ophthalmol 2016; 168: 31-39
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